Lucia Cavallaro: la ricercatrice che usa i grafi per studiare le reti criminali

Foto della Dottoressa Lucia Cavallaro

Ho intervistato la Dottoressa Lucia Cavallaro. È una ricercatrice che svolge un’attività molto interessante: utilizza i grafi (particolari strutture logiche molto usate in informatica) per studiare le reti criminali. Ecco la trascrizione dell’intervista.

Lei è titolare di assegno di ricerca, giusto?

Detto molto semplicemente, ti pagano per fare ricerca. Ti aggiorni, leggi le pubblicazioni, cerchi di trovare qualcosa che non sia stato fatto dagli altri, approfondisci quell’aspetto lì, ci scrivi un lavoro sopra e speri che venga pubblicato.

Come si trova coi suoi colleghi di lavoro?

Molto bene! ho trovato un ambiente molto stimolante, facile per il confronto.

Si è mai sentita discriminata perché straniera o perché donna?

Non si può dire che la maggioranza della gente sia inglese all’interno dell’università inglese, questa cosa non si percepisce minimamente.

Può spiegare nel modo più semplice possibile che cos’è un grafo?

È una struttura fatta da nodi ed archi. Immagini se stesso come un puntino, detto “nodo” o “vertice”. Tutti i suoi amici, i suoi familiari, i suoi legami stretti sono altri nodi (altri vertici). La relazione che vi lega è l’arco. Siete dei puntini collegati da delle lineette.

Intervista alla Dottoressa Lucia Cavallaro - Rappresentazione di un grafo

In che modo Lei utilizza i grafi per studiare le reti criminali?

Una delle applicazioni che abbiamo utilizzato con dei miei colleghi è quella di andare ad investigare sui nodi “influenti” per cercare di capire come frammentare la rete e questo significa non andare a scoprire i capi di un’organizzazione o i “boss” quanto piuttosto quelle persone che se rimosse dalla rete causano un più grave danno all’interno della comunicabilità della rete. Se io levo l’informatore di una determinata parte della rete allora si disgrega e si creano dei grafi più piccoli.

Le applicazioni pratiche potrebbero essere sviluppare un software in cui dando in input questi grafi sia in grado di suggerire alla polizia quali azioni intraprendere.

Idealmente sarebbe quello uno degli obiettivi finali ma non è possibile al momento proprio perché non possiamo per esempio utilizzare intelligenze artificiali in questo momento in quest’ambito qui…

Per mancanza di dati, giusto?

Esattamente! Quindi è impossibile poter addestrare una macchina a capire questo.

Se la difficoltà è quella di reperire i dati, se mettessimo su un sistema di sorveglianza globale, Lei sarebbe favorevole o contraria?

Così, detto “bianco / nero” direi contraria perché ci sono moltissime problematiche legate a questo. Di fatto è quello che in parte succede quando ci facciamo tanti problemi per dare i nostri dati a forze dell’ordine, enti di questo tipo però a moltissime organizzazioni le forniamo senza neanche rendercene conto. A Google, a un qualsiasi sito web, gli forniamo una quantità infinita di informazioni. Probabilmente ci sono dei metodi per cui questi dati già possono essere utilizzati per investigare. La privacy è già a rischio.

Qualche tempo fa ho pubblicato un video in cui ho esaminato il sorgente di Immuni per dimostrare che l’app fosse sicura e anonima. Mi hanno fatti dei commenti veramente spaventosi! “Quanto ti ha pagato il governo per dire questa cosa?”

Intervista alla Dottoressa Lucia Cavallaro - Primo commento al video in cui spiego che Immuni è sicura ed anonima
Intervista alla Dottoressa Lucia Cavallaro - Secondo commento al video in cui spiego che Immuni è sicura ed anonima

Non c’è un’educazione all’utilizzo della tecnologia né dalla parte dei giovani né da parte dei non più giovani. Si sono ritrovati con questo potere dell’internet, dei device, però senza sapere come utilizzarli. Persone che ti dicono “non autorizzo niente” e poi magari mettono pubbliche su Facebook foto di quello che fanno ad ogni ora del giorno e della notte! Banalmente un rapinatore potrebbe sapere tranquillamente se sei in casa o no.

I ragazzi di oggi passano molto tempo davanti allo smartphone. È anche dimostrato che molti di loro questo può suscitare degli stati d’animo di ansia e di paura. Che consigli ha per i giovani?

Il discorso sta proprio nell’educazione che si riceve sull’utilizzo di queste tecnologie. Anzitutto è già ampiamente dimostrato che non è consigliabile fornire questi tipi di device a bambini fino a una certa età perché, al di là degli stadi d’ansia, può causare altri mille problemi: deficit d’attenzione, disturbi dell’apprendimento, … L’educazione non la possono apprendere dal nulla. Quindi il problema dei giovani d’oggi è che sono figli di una generazione che a loro volta, diciamo, non ha avuto gli strumenti adatti per capire come funziona. Quindi adesso ci ritroviamo in quella condizione in cui possiamo forse iniziare a spiegare meglio ai giovani come approcciarsi e imparare a nostra volta come comportarsi nel modo migliore.

Cosa ne pensa di Meta? Porterà dei miglioramenti alle nostre vite?

Penso che come tutte le tecnologie non siano né buone né cattive. Sono solo strumenti neutrali e sta a noi utilizzarli con saggezza.

Immagini di avere davanti un ragazzo o una ragazza di 12 o 13 anni col cellulare in mano, con Instagram, con Facebook, con TikTok. Cosa si sentirebbe di consigliargli per il loro rapporto con la tecnologia?

La cosa che mi sento di consigliare un po’ a tutti, in realtà (non solo ai dodicenni) è di contare fino a dieci prima di fare qualsiasi cosa, prima di ricondividere un’informazione, prima di mettere un proprio contenuto. Ragionare se: ha senso, non ha senso, è utile, non è utile e vero, non è vero (che è una delle cose principali) e soprattutto tenere conto che non c’è più la percezione di internet che avevamo, in cui è come se fossimo un alter ego: io potevo fare quello che volevo perché tanto su internet ero un’altra persona, potevo comportarmi diversamente. Non è mai stato così, però adesso più che mai la risonanza che si ha su internet è molto più potente ma molto più breve nel tempo. Stare attenti, evitare di pubblicare contenuti che… di cui ci potremo poi, tra virgolette, pentire.

Pensare alle conseguenze delle proprie azioni. Verificare le fonti (che sembra che è una cosa che non faccia più nessuno ormai).

No, esattamente!

La Dottoressa Lucia Cavallaro ha lavorato all’università di Derby, in Inghilterra. Sta però per rientrare in Italia per lavorare alla Libera Università di Bolzano.

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